
1,4 milioni le madri che nel corso della loro vita hanno subito maltrattamenti in casa da parte dei loro mariti o compagni.
446.000 vittime vivono ancora con il partner violento e spesso non vedono possibili vie di uscita dalla relazione, spesso anche perché non indipendenti dal punto di vista economico.
174.000 figli hanno visto o subito direttamente i maltrattamenti.

Dipendenza economica, mancanza di sostegno nella rete familiare, vergogna, cosa trattiene queste donne dal denunciare i loro compagni? Come riescono a restare accanto a uomini così orribili pur temendo per la propri vita?
Ogni volta che una donna viene uccisa, ogni volta che sento al TG che quella donna veniva maltrattata da tempo, che aveva confidato a qualcuno che il marito era violento, ma poi era rimasta con lui, ogni volta, mi domandando, perché?
E’ un tema così complesso che probabilmente non è possibile comprenderlo davvero senza esserci dentro, ma mi fa impazzire pensare che queste donne possano restare a casa a subire violenze invece di cercare protezione per se e i propri figli.
Perché le donne che subiscono violenza domestica restano a casa?
Perché non sanno dove andare: perché le strutture di sostegno alla violenza domestica non sono così tante e ben radicate sul territorio? perché in TV non ci sono abbastanza pubblicità a dire loro che una via di uscita esiste?
Perché non sono indipendenti economicamente: questa motivazione mi fa impazzire più di tutte, mi fa rabbia pensare che siano donne che si sono adagiate in un matrimonio senza cercare una loro realizzazione personale e trovandosi poi con un mostro accanto e nessuna risorsa personale per scappare via da lui.
Perché non hanno una rete familiare di sostegno: perché esistono ancora genitori, sorelle, amiche che possano dire, “passerà”, “pazienta”, “gli uomini sono così”? continuando a giustificare comportamenti riprovevoli in nome della pace familiare o semplicemente per salvare le apparenze.
Perché hanno vergogna: vergogna di essere guardate e commiserate, vergogna perché pensano di essere comunque in qualche modo responsabili della rabbia che si avventa loro addosso.
“Ề impressionante il numero di donne con bambini, che pur in presenza di continue violenze non denuncia. Questo dato interpella le istituzioni e la comunità civile sulla necessità di garantire ad ogni mamma un clima di fiducia e un sostegno concreto e tempestivo, tale da spezzare la catena della violenza e consentire di riconquistare una vita autonoma e serena. Troppe mamme, ancora oggi, continuano a subire in silenzio con i loro bambini perché si sentono in trappola e non vedono alternative” (cit. Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children).

Che ne è dei bambini?
Bambini e bambine che assistono direttamente ai maltrattamenti, di cui a volte sono vittime essi stessi, o che ne prendono coscienza in maniera indiretta notando i lividi, le ferite o i cambiamenti di umore nella loro madre, o osservando porte, sedie o tavoli rotti in casa.
Una piaga, quella della “violenza assistita”, ancora poco conosciuta e per lo più sommersa, anche a causa della mancata consapevolezza, da parte degli adulti, della sua gravità e dell’ancora troppo scarso sostegno che viene garantito alle mamme, le quali in molti casi subiscono in silenzio, senza denunciare.
La casa dovrebbe essere per ogni bambino il luogo più sicuro e protetto e invece per tanti si trasforma in un ambiente di paura e di angoscia permanente. Per un bambino assistere ad un atto di violenza nei confronti della propria mamma è come subirlo direttamente.

Questi bambini andrebbero prontamente assistiti, è fondamentale che tutti gli adulti che sono a contatto con loro, scuole, servizi sanitari, assumano una responsabilità diretta per far emergere queste situazioni sommerse, attrezzandosi per riconoscere tempestivamente ogni segnale di disagio, senza trascurarlo o minimizzarlo”.
“Abbattiamo il muro del silenzio”
Dal 5 al 7 luglio, a Palazzo Merulana a Roma, Save the Children accende i rilfettori su una piaga invisibile che ha conseguenze devastanti sulla vita e sul futuro dei minori: una installazione immersiva per provare in prima persona il dramma che tanti bambini vivono quotidianamente.
Save the Children propone un evento esperienziale nel quale verrà raccontato cosa significa per un bambino assistere alla violenza in famiglia. Nel corso dell’evento il visitatore avrà l’opportunità di immergersi completamente nella storia di Alessandro, un bambino qualunque, vittima di violenza assistita.
Il visitatore potrà infatti entrare in quella che apparentemente è la normale cameretta di un bambino di 7 anni, dove sono tuttavia presenti diversi particolari che possono rivelare il clima di paura che prova un minore che assiste in casa alla violenza nei confronti della propria mamma: un rifugio sotto il letto, un nascondiglio nell’armadio, giocattoli rotti, o libri di scuola rovinati.
Grazie alla tecnologia bone conductor (conduzione ossea), le persone vivranno quindi le stesse sensazioni, lo stesso clima di angoscia e di paura che prova nella realtà un minore quando la propria mamma subisce i maltrattamenti tra le mura domestiche.
Qui potete vedere il video campagna contro la violenza assistita.
L’installazione “La stanza di Alessandro” – informazioni pratiche:
Ề possibile visitare l’installazione immersiva a Palazzo Merulana:
- giovedì 5 luglio dalle ore 18 alle ore 20
- venerdì 6 luglio dalle ore 14 alle ore 20
- sabato 7 luglio dalle ore 14 alle ore 20.
Per partecipare è necessario prenotarsi utilizzando il seguente link: https://www.eventbrite.it/e/biglietti-abbattiamo-il-muro-del-silenzio-46977735672
Considerata la sensibilità dei contenuti, la visita dell’installazione è sconsigliata ai minori di 18 anni.
Dati e info a cura di Save the Children.

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